In merito a tale questione va detto che finora la giurisprudenza puntava a consentire al coniuge più debole di continuare ad abitare la casa coniugale.
Oggi sembra che questo orientamento sia stato messo da parte dalla giurisprudenza in quanto sono sempre di più le pronunce in cui il coniuge non proprietario si vede negare o revocare il diritto di abitare la casa coniugale.
Come appare più coerente con il dato normativo (art. 337 sexies c.c.) oggi si torna ad avere riguardo al superiore interesse dei figli minori (o maggiorenni non indipendenti) a continuare a vivere nel medesimo ambiente.
In tal caso, il diritto dei figli di vedere tutelato il loro equilibrio e il diritto di continuare a vivere nel medesimo ambiente, non risulta essere subordinato alla pura e semplice comparazione delle condizioni reddituali e/o patrimoniali.
Così può capitare che, pur essendo il figlio maggiorenne non ancora economicamente indipendente, il genitore collocatario possa perdere il diritto di abitare l’immobile qualora il figlio decida di trasferirsi in altra città per motivi di studio o di lavoro.
In ogni caso la eventuale assegnazione della casa viene meno se il coniuge non ci viva stabilmente, intraprenda una nuova relazione more uxorio oppure contragga nuovo matrimonio.
Ipotesi particolare: Cosa succede se il coniuge proprietario vende – per soddisfare le proprie necessità – ad un terzo l’immobile abitato dall’altro coniuge collocatario dei figli?
Secondo la Cassazione non succede nulla purchè nell’atto di trasferimento venga rispettata la clausola di rispetto della preesistente detenzione qualificata. In ogni caso la Cassazione, addirittura a Sezioni Unite (sent. 11096 del 2002) ha chiarito che il provvedimento di attribuzione del diritto di abitare l’immobile avendo – per sua natura – data certa, rimane opponibile al terzo acquirente.
Avv. Marelli Antonio Domenico
Studio Legale Marelli – Cinisello Balsamo